Da sempre gli italiani sono grandi utilizzatori di telefoni cellulari. Al di là delle battaglie ideologiche portate avanti dai fan-boy sui brand delle case produttrici, vi è la giungla delle tariffe connesse a ogni singolo operatore, spesso trascurate dall’utente per pigrizia o perché vincolate al comodato/vendita del telefono cellulare.
In questo panorama, gli operatori di telefonia mobile hanno sempre distinto fra piano tariffario “ricaricabile” e piano tariffario “abbonamento“, invogliando gli utenti a scegliere quest’ultimo con tariffe più vantaggiose rispetto al piano ricaricabile, spesso scelto dagli utenti per tenere maggiormente sotto controllo le spese telefoniche.
Purtroppo gli utenti che sottoscrivono un piano in abbonamento devono sempre fare i conti con la tassa di concessione governativa, che influisce non poco sul budget mensile di coloro che utilizzano il telefono soprattutto per ricevere chiamate. Sebbene allo stato attuale la situazione non sia cambiata e vi sia ancora l’obbligo di pagamento della tassa di concessione governativa, vi è la possibilità di iniziare a “difendersi” in attesa che cambino le regole di sottoscrizione degli abbonamenti.
Oggi, grazie ad alcune pronunce giurisprudenziali, vi è la possibilità di richiedere il rimborso dei contributi pagati negli ultimi tre anni, trattandosi di una discreta somma mensile quantificabile per i contratti privati in 5,16 euro al mese e per i contratti business in 12,91 euro al mese. Poiché il termine prescrizionale è di 3 anni dalla domanda ex art. 13 DPR n. 641 del 26/10/1972, moltiplicando tali somme per 36 mesi si ottiene una discreta somma, che può arrivare a un massimo di 185,76 euro per i privati e un massimo di 464,76 euro per le utenze business.
Puoi votare l'articolo anche qui, gli articoli precedenti qui.