In Italia dobbiamo avere pazienza. Quando in un Paese il Pil cala del 6%, le cose sono più difficili per tutti, quindi anche per le nostre televisioni. E poi, dove funzionano le regole della concorrenza, lavorare è più facile. Se, invece, tutto dipende dall’autorità regolatrice, i problemi che ci troviamo davanti, anziché raddoppiati, sono addirittura triplicati.
Detto questo, l’Italia rimane per noi un grande mercato e sono convinto che la situazione non rimarrà a lungo quella attuale. Prima o poi le cose cambieranno: noi, comunque, non molliamo.
Rupert Murdoch finisce parlando proprio dell’Italia il suo lungo incontro con la comunità finanziaria a ‘Communcopia’, la conferenza organizzata ogni anno dalla banca Goldman Sachs per tastare il polso del grandi ‘corporations’ della comunicazione: dalle reti televisive Usa ai giganti delle telecomunicazioni, da Baidu.com, leader del mercato cinese della ricerca su Internet, davanti a Google, fino alla News Corp di Murdoch.
Il gruppo dell’editore australiano è il più globale dei giganti della comunicazione con le sue reti televisive negli Usa (Fox), in Europa (Sky), le presenze in India, Cina e Australia, un ‘impero’ di carta stampata che copre tre continenti, Internet (con MySpace) e i film della «20th Century Fox». Per questo il vecchio «tycoon» è il personaggio più atteso dagli analisti e dai pochi giornalisti ammessi alla conferenza. Lui arriva, gira, curioso, per le salette del convegno, ascolta in piedi l’intervento di Jeff Zucker, l’oratore che lo precede. Il capo della Nbc, la tv della General Electric, sta descrivendo la faticosa «risalita dagli inferi» del mercato della pubblicità: «Dopo mesi duri, per la prima volta vediamo segnali positivi: anche l’industria dell’auto, che si era fermata, ricomincia a presentare i nuovi modelli ».
Anche Murdoch inizia parlando di congiuntura: «Non sono un economista, ma, da quello che capisco, dopo il crollo avremo una breve impennata seguita da una lenta risalita. Da novembre a giugno è stata dura. Siamo andati avanti col freno tirato. Da luglio abbiamo ricominciato a vedere la luce: pubblicità in ripresa in tv ma anche sui nostri giornali, salvo il Sunday Times . Fox ha ridotto le tariffe degli spot solo dell’1% e per quelli delle trasmissioni di intrattenimento abbiamo già il tutto esaurito fino a fine anno».
Allora — lo provoca Mark Wienkes, l’analista e vicepresidente di Goldman che dialoga con lui — ha ragione chi dice che dovrebbe ribattezzare il suo gruppo ‘Enterteinment Corp’. Con le ‘news’, le notizie, si guadagna poco… Il vecchio editore scatta come una molla: «Al contrario. Se la sai gestire bene l’informazione rimane assai redditizia. Guardi cosa stiamo facendo col Wall Street Journal.
Certo, bisogna essere rapidi, capire i cambiamenti delle tecnologie e del mercato. Ben presto chi legge il Wall Street sul Blackberry o sull’iPhone (oggi gratis) pagherà due dollari a settimana, uno se è abbonato all’edizione di carta. E’ poi c’è l’evoluzione verso i nuovi lettori digitali che sostituiranno gradualmente la carta». Murdoch boccia il Kindle di Amazon, al quale preferisce il lettore della Sony (con la quale la sua società ha un accordo).
Spiega che a Natale arriverà una versione più adatta ai giornali, ma anche che in futuro le novità tecnologiche saranno continue: «Da Hewlett Packard a Fujitsu non c’è un grande produttore mondiale che non stia lavorando ai ‘reader’ di giornali su schermo digitale. Inchiostri elettronici, schermi di plastica, lettori flessibili: ci vorrà tempo, anche 20 o 30 anni, ma alla fine il giornale vivrà — e guadagnerà — soprattutto in formato digitale. Senza carta, rotative e sindacati. Noi ci stiamo già preparando: il Wall Street Journal aveva 17 impianti di stampa. Ne stiamo chiudendo 7 dando la produzione in ‘outsourcing’.
Fonte: Corriere.it