Se è vero, come ha scritto Orazio Carabini sul Sole 24 Ore del 27 gennaio, che abbiamo scampato il pericolo di una crisi dagli effetti potenzialmente devastanti, è altrettanto vero che sono diffuse le preoccupazioni per una ripresa ancora troppo lenta e piena di ombre.
Condivido quindi la necessità di un progetto per l’Italia che sia in grado di mobilitare le ingenti risorse sottoutilizzate del nostro paese e di attivare un circolo virtuoso di investimenti, produttività, competitività, valore aggiunto e consumi. Una sfida difficile, perché si scontra con la necessità di finanziare gli ammortizzatori sociali, gestire il rientro dei disavanzi all’interno di trend più sicuri per la stabilità macroeconomica e di assorbire gli effetti della crisi finanziaria mondiale che in Italia rischiano di tradursi in una riduzione dei finanziamenti alle piccole e medie imprese. Per non parlare delle catastrofi naturali che ci hanno colpito nell’anno appena chiuso.
Non possiamo che essere riconoscenti al governo e in particolare al ministro Tremonti, per aver tenuto ferma la barra del timone dei conti pubblici evitando il rischio di crisi di credibilità sui mercati finanziari internazionali, di cui tutti avremmo pagato le conseguenze. Il caso della Grecia insegna.
Quindi occorre intervenire subito, ma occorre farlo con precisione. Dobbiamo concentraci su quei progetti che richiedono uno sforzo gestibile in termini di risorse pubbliche, ma che siano in grado d’attivare processi duraturi di sviluppo endogeno al sistema economico.
Carabini propone che questo progetto possa essere lo sviluppo di una rete di comunicazione a banda larga in grado di fornire a tutti i cittadini velocità di connessione fino a 100 Megabit al secondo. Non posso che essere d’accordo, ma propongo di porre come principale obiettivo di un progetto per l’Italia la creazione di un ecosistema digitale a cui tutti possano accedere e in cui i processi amministrativi, organizzativi e produttivi possano sfruttare la velocità, la pervasività e l’economicità delle tecnologie digitali.
Di fatto è questo il vero motore dello sviluppo. In un recente rapporto, Confindustria ha evidenziato come i risparmi possibili dalla sola digitalizzazione della pubblica amministrazione ammonterebbero ad almeno 3 o 4 miliardi all’anno, ma ancora più significativi sarebbero i guadagni in termini d’efficienza, minori costi della burocrazia e migliore qualità dei servizi pubblici. Dalla sanità alla giustizia, dalla scuola ai trasporti. Se anche le imprese di minore dimensione utilizzassero maggiormente le opportunità offerte dall’innovazione digitale come già fanno le grandi e medie imprese, la loro produttività aumenterebbe di almeno il 10% e ancora più forte sarebbe l’effetto sulla competitività e sulla capacità di raggiungere nuovi mercati di sbocco.
L’accelerazione dell’alfabetizzazione digitale attiverebbe un circolo virtuoso con benefici esponenziali. La crescita di un ecosistema digitale è, inoltre, un fattore centrale per la sostenibilità in quanto permette l’utilizzo più efficiente delle scarse risorse energetiche disponibili. La riduzione della mobilità, il monitoraggio dei consumi, l’ottimizzazione dei motori e la gestione integrata delle fonti energetiche permetterebbero di risparmiare centinaia di milioni di tonnellate di CO2, lasciando ai nostri figli e ai nostri nipoti un pianeta un po’ più pulito e piacevole da vivere.
Questo obiettivo non può essere raggiunto senza lo sviluppo della rete d’infrastrutture. Ma occorre chiarire bene di cosa stiamo parlando, altrimenti rischiamo che la luminosità dell’obiettivo ci nasconda la strada per raggiungerlo.
Innanzitutto, occorre distinguere gli interventi necessari per l’eliminazione del divario infrastrutturale (cosiddetto digital divide) che ancora oggi è presente nel nostro territorio, dallo sviluppo della rete di telecomunicazioni ad altissima velocità e in particolare dalla diffusione della fibra ottica. Sul fronte del primo problema c’è da dire che ancora oggi circa il 10% della popolazione italiana non ha accesso a una connessione Adsl in grado di fornire una velocità pari o superiore ai 2 Megabit al secondo. Si tratta di aree del nostro paese, presenti tanto al Sud quanto al Nord e a volte anche molto circoscritte, nella quali le condizioni orografiche, o la scarsa densità abitativa, rendono non redditizio un investimento dell’operatore telefonico. Queste aree sono spesso definite “a fallimento di mercato”, anche se a ben guardare non si tratta di un fallimento, quanto di un’assenza stessa del mercato.
In queste aree è indispensabile un intervento pubblico per incentivare l’investimento privato, assicurando un ritorno equo, ma compatibile con le ferree condizioni di mercato a cui tutte le imprese private e in modo particolare quelle quotate, devono sottostare. La Commissione europea ha stabilito con grande chiarezza le regole in base alle quali l’intervento pubblico deve essere realizzato, in modo da non alterare la concorrenza tra gli operatori di telecomunicazione nei mercati interessati.
Fonte: ilsole24ore.com